Welcome
(id.) Francia 2009 di Philippe Lioret .

Con Vincent Lindon, Firat Ayverdi, Audrey Dana, Derya Ayverdi, Thierry Godard, Selim Akgül, Firat Celik, Murat Subasi, Olivier Rabourdin, Yannick Renier, Mouafaq Rushdie, Behi Djanati Ataï.

La denuncia è tanto intensa quanto taciuta. Welcome vive di respiri trattenuti, telefonate segrete, emozioni costrette. E’ la clandestinità della sofferenza, relegata nel più intimo silenzio, la chiave con cui Lioret affronta il tema dell’immigrazione. In una Calais tetra e tremendamente gelida, un mare d’acqua domina la profondità di campo, si affianca al sogno di Bilal, ne predispone la sfida, ma il tutto rimane così illusorio, una via di fuga che già dal principio presagisce il fallimento. Se ci rivolgiamo al nostro entroterra invece, trionfa la costrizione, ideologica, sociopatica, spaziale. Gli interni si sorreggono su una messa in scena rigida e chiusa, l’antitesi, purtroppo veritiera, allo sconfinato grigiore dell’acqua che si estende verso quella tanto amata terra promessa. Non avendo più sogni sui quali aggrapparsi, l’Occidente, quello che ha ancora qualcosa di umano dentro, quello di Simon, vive dei rimpianti, degli effetti della propria espiazione. Riaprirsi all’altro, soffermarsi sulle colpe nella speranza di una redenzione, è l’unica chiave per cercare un riscatto. Da una parte l’incoscienza di un amore desiderato, dall’altra la lenta presa di coscienza che questo amore ormai se n’è andato. Se Simon si avvicina dapprima a Bilal per far bella figura nei confronti dell’ex-moglie (una volontaria nel campo), la sua intenzione piano piano acquisisce una connotazione più profonda. Attraverso il giovane si riaccende anche la speranza di fare pace con se stessi, perché sebbene Simon sappia di non poter cancellare il passato (emergono lentamente i tratti di un uomo irascibile e violento), vede in Mina un modo per darsi pace. Lioret impagina un dramma con una forte identità. Certo, le digressioni divulgative, che sembrano scemare in situazioni tipiche, ci sono, come a voler ricordare la denuncia di fondo. L’autorità indifferente e spietata, il vicino di casa inacidito e pregiudizievole, il direttore del supermarket intollerante e razzista, e giù di lì, tutte “macchiette” che manifestano d’improvviso, ciò che è reso latente in tutto il resto del discorso.
Quello che conta però è la trasparenza e solidità con la quale il regista tiene in considerazione il suo spettatore. Il messaggio arriva, è reso limpido, fruibile, non facendosi mancare allo stesso tempo delle rime interne poetiche: l’intima e silenziosa solitudine della realtà in opposizione all’assordante ribalta del sogno (guardate la funzione disturbante della televisione), il rovesciamento simbolico del valore dell’acqua, la sottrazione negli affetti (in un clima di profonda sofferenza, l’unico a piangere è il personaggio più indifeso, Mina). E’ un cinema che sa il suo perché, corretto ed educativo, in cui persino qualche enfasi “di troppo” (Cristiano Ronaldo, ancora giocatore del Man Utd e idolo di Bilal, punta il dito al cielo dopo una rete) trova una sua legittima collocazione.Noi, pensando ad opere simili nel nostro panorama filmico, ci guardiamo intorno
Marco Compiani – spietati.it

Il giovane diciassettenne iracheno Bilal (Ayverdi), dopo aver attraversato l'Europa da clandestino è fermo nel nord della Francia e non riesce a raggiungere la sua ragazza da poco emigrata in Gran Bretagna, perché non può attraversare la Manica. L'ultimo tratto, da Calais a Dover, definito la frontiera messicana d'Europa, è invalicabile per i clandestini a causa dei severissimi controlli. Per caso conosce Simon (Lindon), un istruttore di nuoto, con cui inizia ad allenarsi per un obiettivo apparentemente folle: attraversare la Manica a nuoto. Dal Festival di Berlino, dove il film è stato presentato, il regista ha affermato: “Ho provato da subito una grande attrazione verso questo soggetto, dedicato a uomini in fuga dai propri paesi d’origine e determinati a raggiungere quell’Eldorado che l’Inghilterra rappresenta ai loro occhi. Dopo un viaggio improbabile, essi si trovano bloccati a Calais – frustrati, maltrattati e umiliati – a pochi chilometri dalla costa inglese, che riescono persino a vedere in lontananza. Parlandone una sera con lo sceneggiatore Olivier Adam, ho capito come quel posto fosse la nostra “frontiera messicana” e che sarebbe bastato scavare un po’ per ricavarne una storia di grande impatto drammatico”. Una storia di amicizia tra due persone diversissime, un ragazzo curdo pieno di speranze ed un adulto francese cinico e depresso, che imparano a conoscersi ed a rispettarsi in un mondo che fa di tutto per dividerli. E questa è la seconda lettura del film, quella politica, di un drammatico ed attualissimo road movie attraverso un'Europa irriconoscibile e feroce, dove il diritto di esistere viene negato sistematicamente ai clandestini. Sullo sfondo 'troneggiano' le nuove disposizioni legislative anti-clandestini, volute dal Presidente Sarkozy - molto simili al reato di clandestinità varato dal Governo Berlusconi - che rendono di fatto impossibile la permanenza anche in suolo francese di un extracomunitario senza permesso. Accolto con quindici minuti di applausi alla sezione Panorama del Festival di Berlino 2009, il film ha ottenuto il Premio del Pubblico, il Premio Label Europa Cinemas e il Premio della Giuria Ecumenica.
Primissima.it


Affetti e dispetti
(La nana) Cile, Messico 2009
di Sebastiàn Silva .
Con Catalina Saavedra, Claudia Celedòn, Mariana Loyola, Alejandro Goic, Anita Reeves, Delfina Guzmàn, Andrea Garcia-Huidobro, Mercedes Villanueva, Augustin Silva.


Tra cinema e realtà
Lo sguardo su un'esistenza vissuta all'interna di un microcosmo troppo piccolo per poter garantire quanto necessario a una stabilità psicologica ed emotiva. Un personaggio ostico, odioso, con il quale è difficile entrare in sintonia nonostante la conoscenza del suo passato da semi-reclusa volontaria, e i cui comportamenti sono tutto fuorchè condivisibili, mettendo anche a rischio la salute di altre persone, colpevoli solo di esser viste come una minaccia dalla sua psiche instabile. Sebastian Silva è bravo nel trasportarci in questa vicenda di insoddisfazione maturata dal tempo e dagli eventi, senza scadere in una facile retorica ma mostrando crudemente e senza sconti come l'astrazione sociale possa deformare il carattere di una persona, rendendola più simile a una bestia che a un essere umano. Ma Raquel non è monocromatica, e quando arriva l'occasione di scoprire cos'è realmente la vita, dopo che le sono stati aperti gli occhi dalla sua ultima "rivale", comprende l'inutilità di quanto svolto fino ad allora, finendo per guardare il mondo con un altro sguardo. Girato quasi interamente in questa enorme casa e nello spazio ad esso confinante (se si esclude il breve excursus ospedaliero), con uno stile minimale, che concentra tutto sui volti e gli sguardi, sulle emozioni provate dai protagonisti di questa vicenda torbida che affonda le sue radici nel reale. Ottima la prova della nana Raquel, interpretata da un'algida Catalina Saadreva (già al lavoro con il regista nel suo film d'esordio), tra le migliori attrici del panorama cileno. Il comparto tecnico è un mero optional, e non eccelle in nessun campo, da una fotografia limitata dalla claustrofobia dei luoghi (girato all'interno di una vera casa, quindi con spazi limitati) e tendente a colori cupi e freddi, alla colonna sonora praticamente inesistente. Ma d'altronde lo scopo era ben altro, e quindi uno stile quasi documentaristico non può che giovare a una produzione lontana dallo spettacolo e più vicina al senso stesso di un racconto morale. Molti dopo aver letto queste righe, se mai ne avranno avuto la voglia, dimenticheranno presto queste parole e la pellicola, ma chi invece volesse darle un'occasione difficilmente rimarrà deluso.
Maurizio Encari - everyeye.it

Già segnalato dall’ottimo Federico Pontiggia, nel suo post del 25 giugno, vale la pena di tornare a parlare del film cileno di Sebastian Silva Affetti e dispetti anche in riferimento alla riflessione sulla “tenuta” pulita ma non eccelsa dell’annata cinematografica che, invece, segnalavo nel mio post intitolato Un anno difficile. Affetti e dispetti è – ben venga – un film molto interessante.
Perchè mischia con libertà stili e visioni, andando oltre al già detto.
Il film racconta l’esistenza di Raquel (la bravissima Catalina Saavedra), domestica quarantenne in una ricca casa cilena. La nostra da oltre vent’anni presta servizio. E in questi vent’anni si è totalmente annullata nel ligio rapporto con la famiglia dei suoi padroni. C’è la moglie che, paternalisticamente, le “vuole bene”. Ci sono i figli, con cui ha relazioni altalenanti e spesso conflittuali. C’è il marito di cui custodisce volentieri qualche piccolo segreto. Ma Raquel non ha altro: si ripete di essere amata dai bambini, cerca la propria unicità nell’essere depositaria di tutti i segreti della casa. Ma in realtà è disperata e il fisico inizia a “protestare”. Nella dialettica hegeliana, il rapporto servo/padrone, a un certo punto si ribalta. Ergo: Raquel dovrebbe diventare dominante. Ma Silva non è per niente convinto che le cose stiano così. Perché ne ha viste tante, più di Hegel. Semplicemente, infatti, Raquel è esaurita. E la “sua” famiglia pensa bene di affiancarle un’altra domestica. Raquel però non vuole essere usurpata di quel poco che (crede) essere suo. Di quel piccolo regno fatto di aspirapolveri, sicurezza nel trovare una maglietta, automatica soddisfazione dei gesti. La lotta di classe è morta. Silva lo dice con ironia, raffinatezza. Ma lo dice chiaramente. Al massimo oggi i servi possono trovare la propria ora d’aria ed essere contenti così. Perché la dialettica (poi marxista) non è la logica attraverso cui i servi interiorizzano la propria esistenza. Affetti e dispetti è davvero un film molto interessante. Molto acuto, molto intelligente. È girato quasi totalmente in interni, con uno stile che può richiamare il famoso Dogma ma soprattutto il Lars von Trier de The kingdom e Idioti. Musiche zero e solo da fonti sonore diegetiche, fotografia piuttosto sgranata, tagli fintamente naturali, primi piani improvvisi e intensi. Mentre, per cattiveria, nella prima parte il film ricorda il primo Ferreri, quello de El cochecito. Il lavoro di Silva, strada facendo, depista molto lo spettatore. Perché la “svolta finale” è un (finto?) lieto fine con cui beffardamente il regista mette la pietra tombale sulla rivolta degli schiavi. Raquel non è neppure parente ideale de la Sandrine Bonnaire di Il buio nella mente. Chabrol e compagnia bella sono gente d’altri tempi. Oggi la serva si identifica al massimo con una serva un po’ meno oppressa di lei. E impara così a non a ribellarsi all’indegna ipocrisia che una volta si sarebbe detta “borghese”. Si impara a convivere con la frustrazione. A “gestire l’ansia” si potrebbe dire. La lotta di classe è stata seppellita dall’idea che, in fondo, si possono trovare i propri spazi. Ma è una prospettiva vera o è la vittoria del più forte? Non è forse la verità dei padroni (e dagli schiavi introiettata)?
Affetti e dispetti è l’ideale seguito del film di Chabrol, 15 anni dopo. Anni cruciali. Per la globalizzazione che ha reso tutti “self made man”, gioiosamente felici di mettere la propria vita sul mercato. E anni cruciali anche per il Cile del dopo Pinochet. Così, insomma, anziché pensare che esistano gli oppressori e gli oppressi, ora una domestica può prendere il buon esempio non da una folle incendiaria (come Isabelle Huppert ne Il buio nella mente) ma da una serva divenuta liberta e continuare, così, a fare la schiava sorridendo. Crudele, questo Silva. Non si può neppure più sognare la ribellione. (Un consiglio: guardate questo film pensando anche a Pomigliano…).
Elisa Battistini (blog) – ilfattoquotidiano.it

Calendario proiezioni Ottobre/Novembre/Dicembre 2011

Ottobre 2011

Giovedì 6 ottobre 2011 h. 21,00
Vado, sala biblioteca comunale

Affetti e dispetti
(La nana) di Sebastian Silva
Cile, Messico 2009
Rassegna: Mimosa forever



Martedì 18 ottobre 2011 h. 21,00
Monzuno, sala biblioteca comunale

Welcome di Philippe Lioret
Francia 2009
Rassegna: Migrazioni

Novembre 2011

Mercoledì 2 novembre 2011 h. 21,00
Vado, sala biblioteca comunale

Dieci inverni di Valerio Mieli
Italia, Russia 2009
Rassegna: Tempi Moderni


Martedì 22 novembre 2011 h. 21,00
Monzuno, sala biblioteca comunale

Il profeta
(Un propheta) di Jacques Audiard
Francia, Italia 2009
Rassegna: Tempi Moderni

Dicembre 2011

Venerdì 2 dicembre 2011 h. 21,00
Vado, sala biblioteca comunale
I segreto dei suoi occhi
(El Secreto de Sus Ojos) di Juan Josè Campanella
Argentina, Spagna 2009
Rassegna: Tempi moderni


Martedì 20 dicembre 2011 h. 21,00
Monzuno, sala biblioteca comunale
Parnassus- l'uomo che voleva ingannare il diavolo
(The Imaginarium of Doctor Parnassus) di Terry Gilliam
Francia, Canada 2009
Rassegna: Sogni