Open hearts
(Esker dig for evigt) Danimarca 2002
di Susanne Bier.
Con Sonja Richter, Nikolaj Lie Kaas, Mads Mikkelsen, Paprika Stehen, Stine Bjerregaard, Niels Olsen, Ulf Pilgaard, Ronnie Hiort Lorenzen, Pelle Bang Sorensen.


Dramma in dogma
Susanne Bier prende le mosse dal Dogma95 di Von Trier e Vinterberg; cosa ne resta dieci anni dopo la sua stesura? Il manifesto danese (riprese dal vero, niente scenografia, camera a mano, nessun suono riprodotto, illuminazione naturale, formato 35 mm), che nasceva come autentica provocazione contro il frasario imbalsamato del cinema alimentare – imporsi delle regole “assurde” per dimostrare che non esistono regole -, si è gradualmente ridotto, passo dopo passo, ad una sterile questione di principio oltranzista ed autocelebrativa (la successiva ed inconcludente circumnavigazione della Kidman in DOGVILLE, con camera in spalla a 360°, la dirà lunga sull’argomento), non priva di vezzi compiaciuti ma esteticamente fallimentari (la parodia involontaria di DANCER IN THE DARK).
Nella signora Bier, quindi, non riponevamo particolari speranze; eppure... aggirando la strada parabolico/morale, il film si accontenta (per così dire) di raccontare, facendo dell’intreccio stesso la sua chiave di volta senza secondo fine; nella delicata scelta della materia drammatica (con un’eco da LE ONDE DEL DESTINO) OPEN HEARTS riesce a non esagerare, districandosi in equilibrio su quel filo sottile che lo mantiene credibile e compatto sino in fondo.
Coniugando uno sguardo chirurgico (riflesso nello sfondo ospedaliero) alla virata calda e passionale (i diversi incontri amorosi), e presentando questo elementare contrasto allo spettatore senza filtro – quindi particolarmente toccante -, è un’opera viva e pulsante tanto da farsi perdonare le evidenti imperfezioni; la Bier sbaglia almeno un carattere (la figlia di Niels, intorno alla macchietta) e costruisce una manciata di snodi risaputi (tra tutti: le scene-madre piene di omissis e sospensioni, a rischio schematismo), nel gioco delle coppie non attinge certo da un bacino originale ma d’altronde lo ravviva con un gusto personale ed estremo, che non teme il tratteggio di una “strana” rivalità sentimentale (l’aitante medico ed il paralitico).
Il dato tecnico, forse di maggior interesse, è anche quello più sorprendente; indugiando con la camera a mano su corpi ed espressioni dei protagonisti, scavando patologicamente nei loro lineamenti, la Bier riporta un senso al cadavere del Dogma e ne propone una visione personale (nonostante qualche gratuità), fino ad estrarre almeno una sequenza d’impatto commovente (l’abbraccio “posticcio” tra Joachim e Cecille).

La migliore intuizione della regista si incarna però nelle repentine svolte oniriche che suggellano il narrato, preziose perché quasi impercettibili, che per un attimo annullano il colmo di dolore e, dopo la tragedia, consentono ad una mano paralizzata di librarsi nell’aria, ancora.
Non ci sono parole per Sonja Richter, diamante in un cast di solidità inusitata.
Un film irrinunciabile per sapere che la Danimarca oggi non è solo Lars Von Trier. Per fortuna.
Emanuele Di Nicola – spietati.it

Dogma 95 (Dogme 95) è il nome di un movimento cinematografico creato e fondato su precise regole espresse in un manifesto pubblicato nel 1995 (da cui il nome) dai registi danesi Lars von Trier, Thomas Vinterberg, quindi corrente non nata ed evoluta spontaneamente come nella maggior parte dei casi nella storia del cinema.
Il decalogo, al quale aderirono subito anche Søren Kragh-Jacobsen e Kristian Levring, è spesso definito anche con il significativo nome di Voto di Castità, che lascia intendere lo spirito del movimento, ed è stato stilato e firmato ufficialmente a Copenaghen, lunedì 13 marzo 1995.
L'obiettivo, ambizioso, era quello di "purificare" il cinema dalla "cancrena" degli effetti speciali e dagli investimenti miliardari. Niente luci, nessuna scenografia, assenza di colonna sonora, rifiuto di ogni espediente al di fuori di quello della camera a mano... Le regole da seguire per raggiungere questo obiettivo sono state espresse in un manifesto scritto.
C'è da dire che già dal primo film le regole sono state violate, ed ogni regista, chi più chi meno, ha ricorso a degli espedienti (musica, luci, scenografie) vietati nei propri film.
Come detto sul sito ufficiale, in realtà ogni regista può interpretare il decalogo a suo modo.

Il 20 marzo 2005, a Copenaghen, i registi hanno firmato il documento che, dieci anni dopo, ha sancito la fine del patto.
I dieci anni di esperienza della Dogma 95 hanno portato alla produzione di circa 40 film. Spesso questi erano riferiti solamente con un numero (Dogma 1, Dogma 2, ecc.) anziché con il titolo vero e proprio.

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.


Rassegna Mimosa Forever

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