CHE – L’argentino
(Che – Part One)

USA, Francia, Spagna 2008
di Steven Sodebergh

Con Benicio Del Toro, Demian Bichir, Santiago Cabrera, Elvira Mìnguez, Julia Ormond, Rodrigo Santoro, Ramón Fernández, Yul Vazquez, Jose Caro, Jsu Garcia, Marisé Alvarez, Franka Potente, Catalina Sandino Moreno.


“No soy un libertador. Los libertadores non existen. Son los pueblos quienes se liberan a si mismos » Si può raccontare la vita di Ernesto Guevara senza fare i conti con il mito del «Che»? La sfida sembrerebbe impossibile: anche un film come I diari della motocicletta, che ne raccontava la giovinezza argentina, non riusciva a tenere a freno la contagiosa esuberanza del protagonista. Affrontando invece i due momenti cruciali della vita di Guevara, la rivoluzione cubana prima e la guerriglia in Bolivia poi in un mega-film di oltre quattro ore che esce in due parti (adesso Che-L'argentino e a maggio Che-Guerriglia), il regista Steven Soderbergh sembra essersi fatto guidare soprattutto dalla voglia di raffreddare la materia e di affrontare con gli strumenti della ragione quello che di solito si racconta con l'entusiasmo del militante. Caldeggiato fortemente dall'attore Benicio Del Toro (che si cala nei panni di Guevara con sorprendente rassomiglianza) e dalla produttrice Laura Bickford, il progetto del film ha cominciato a prendere forma più di dieci anni fa, nel 1996, ma è diventato qualche cosa di concreto solo nel 2005, dopo che la sceneggiatura è stata affidata a Peter Buchman. È dal suo lavoro e da quello di Soderbergh che nasce l'idea di privilegiare due soli momenti di tutta la lunga e avventurosa vita del «Che» giocando continuamente al contrappunto: Cuba contro Bolivia ma anche, all'interno della prima parte, teoria contro azione, utopia contro (dura) realtà, rivoluzione contro (o a fianco di) politica. Questa operazione non è evidentemente senza conseguenze: da una parte permette al film di avere un andamento il meno hollywoodiano possibile, lontanissimo dall'epicità finto-romantica con cui il cinema americano ha spesso raccontato rivoluzioni e rivoluzionari (basterebbe pensare all'orrendo Che! di Fleischer con Omar Sharif nei panni di Guevara). E dall'altra offre al film la possibilità di «distaccarsi» dalla materia raccontata per trasformare la storia in strumento di (auto)riflessione, recuperando certi insegnamenti godardiani sull'intreccio tra finzione cinematografica e inchiesta giornalistica (non a caso Questa è la mia vita era uno dei modelli a cui Soderbergh si è ispirato). Ecco perché Che-L'argentino gioca molto col montaggio, perdendo di vista lo svolgimento cronologico delle azioni e invece giustapponendo momenti della visita del «Che» alle Nazioni Unite nel 1964 a episodi della guerriglia sulla Sierra Maestra cubana del 1957/58 a momenti addirittura precedenti, come l'incontro tra Guevara e Fidel Castro in Messico nel 1955. In questo modo frasi e dichiarazioni più «programmatiche» (come erano le risposte ai giornalisti americani o i punti salienti del suo discorso all'Onu contro l'imperialismo e la sudditanza degli Stati sudamericani) trovano un riscontro immediato con le scelte concrete fatte durante la guerra rivoluzionaria, anche loro mostrate non per la loro forza epica ma piuttosto per quello che possono «insegnare» e «dimostrare». Così fa una certa impressione sentir dire a una giornalista newyorkese che la prima qualità di un rivoluzionario è «l'amore» e subito dopo vedere la decisione di abbandonare un compagno alle sevizie dei soldati di Batista pur di non farsi scoprire, scelta che si spiega solo capendo che quell'«amore» non va inteso in senso cristiano ma rivoluzionario, perché il sacrificio di un militante giustifica la possibilità della sopravvivenza del gruppo. O ancora, prima dell'attacco alla caserma di El Ulvero, il discorso sulla inevitabile vittoria dei rivoluzionari di fronte ai mercenari che sembra essere contraddetto dai morti che i ribelli lasciano sul campo ma che finisce per essere avvalorato dalla conquista della postazione. Ogni scena, cioè, prende valore per quello che spiega e insegna sul percorso rivoluzionario e non per la forza emotiva che può avere. È per questo che il film andrebbe visto nella sua interezza di quattro ore, perché la seconda parte funziona da contrappunto alla prima e molte scene della prima rimandano alla seconda o trovano lì la loro «conclusione» (come il discorso sui sedicenne che a Cuba non possono partecipare alla rivoluzione e in Bolivia sì, salvo poi scoprire che i primi si riveleranno dei veri rivoluzionari e i secondi tradiranno). Ma la distribuzione ha leggi che a volte vanno contro a quelle dei film e in questo modo Che-L'argentino finisce per pagare delle colpe che non sono del tutto sue. Nella sua unità/complessità sarebbe stato più chiaro il percorso di Soderbergh. Così invece si rischia di accentuare troppo una scelta di stile che sembra solo «contro» (contro il mito del «Che» ma anche contro l'epicità troppo programmatica di certo cinema hollywoodiano) e meno «a favore» (di un soggetto indubbiamente originale e lontano dalle mode).

Paolo Mereghetti – Corriere della Sera.it

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